FIAT voluntas tua – L’ era Marchionne: un bilancio

Nel momento in cui scriviamo le condizioni di Sergio Marchionne ad Fca sono considerate, dal personale medico del reparto di terapia intensiva di Zurigo dove è ricoverato, “irreversibili”. Avendo il board del gruppo, nella persona del presidente Elkann già inviato una lettera ai dipendenti scrivendo che “Sergio non tornerà più” e nominato Mike Manley suo successore, possiamo trarre qualche bilancio della “reggenza” Marchionne, la quale ha segnato e sta segnando parte del futuro industriale del nostro paese. La governance di Marchionne è durata ben 14 anni tra mille difficoltà, speranze, polemiche e referendum interni alle fabbriche. Personalità ultra pragmatica e abituata sempre a tirare dritto senza troppi ripensamenti, il manager teatino (nato a Chieti nel 1952 e poi trasferitosi, all’età di 14 anni, in Canada con la famiglia) ha ereditato una Fiat sull’orlo della bancarotta e ha restituito una Fca (non Fiat, attenzione!) quasi senza debiti grazie anche ad una poderosa finanziarizzazione (suo vero punto di svolta) che vedeva a fine 2017, un utile netto quasi raddoppiato. Arrivato nel 2004, è però solo nel 2008 che Marchionne si fa sentire. Risanati i conti Fiat grazie ai soldi pubblici italiani e all’aiuto di governi che in tutta la storia repubblicana hanno donato alla fabbrica sempre una corsia preferenziale, Marchionne intuisce che occorre guardare fuori dall’Italia perché fuori da lì è il futuro. Nel 2009 compra il gruppo Chrysler con i soldi pubblici stavolta americani stanziati tramite un prestito monstre da Obama e si apre sul mercato statunitense: un “nano” che compra un “gigante”? Non proprio. Innanzitutto perché il Gruppo Chrysler non è proprio un gigante ma più realisticamente la sorella minore di Ford e GM e pertanto molto meno costosa e appetibile e poi perché Fiat e relativa costellazione portata in dote (Lancia, Alfa Romeo, Maserati, Ferrari) può vantare un’enorme gamma di modelli per attaccare quasi tutti i segmenti di mercato, uno storico know-how e un alone di prestigio, di “brand” che è quello relativo al semprevivo fascino di tutto ciò che è classificabile come “Made in Italy”. In quello stesso anno inizia la strategia di sganciamento dall’Italia: per Marchionne ormai il nostro paese è marginale e può così iniziare la sua guerra con le tute blu e con l’unico sindacato, la Fiom, non “firma-tutto”. Decide, dopo decenni, di uscire da Confindustria creando un Contratto di lavoro specifico negoziato solo con le parti firmatarie e con cui ricattare i lavoratori (“o firmi o cesso la produzione”): taglio delle pause, meno diritti, più ore a parità di salario, espulsione sindacati che non ci stanno. Al contempo, nasce Fca, un’azienda senza fissa dimora, con sede legale ad Amsterdam, sede fiscale a Londra e cuore (e cervello) negli Usa, senza che i nostri governi Berlusconi, Monti, Renzi battessero ciglio, anzi plaudendo al “manager rivoluzionario” (ve lo ricordate il Renzi “gasatissimo” in visita a Mirafiori nel febbraio 2015 per uno dei suoi tanti spot elettorali?). Intanto i dipendenti diretti Fca in Italia finivano con l’essere 29 mila a fronte dei 120 mila nel solo 2000.

Cosa resta, oggi, dell’azione di Marchionne e delle sue numerose e disattese promesse?Il vero successo si è rivelato il rilancio del marchio Jeep il cui uomo-marchio non a caso è il suo ex braccio destro e ora successore, Manley. Di Jeep, la cui rete vendita americana è stata potenziata, è previsto il lancio di 10 nuovi modelli entro il 2022 che copriranno i segmenti dei piccoli utility vehicles, i pick-up e i grossi suv. Quella che sembrava una vittoria, cioè riportare la produzione della Panda a Pomigliano da Tichy (vendite Panda, tra l’altro, in vistoso calo), a scapito di pause e diritti, è ora la certezza di una resa: è stato confermato anche nell’ Investor Day del 1 giugno scorso che la Panda “ripartirà” per la Polonia e che gli ammortizzatori di Pomigliano sono agli sgoccioli. A Mirafiori il licenziamento, invece, è stato rinviato solo con l’artificio di spostare 500 professionalità a Grugliasco per la Maserati; Melfi è sotto cassa integrazione, Pratola Serra e Cento, dove si producono i motori diesel, sono alle prese con un incertissimo futuro per la strategia scelta da Marchionne sulle motorizzazioni. Quest’ultimo è un punto molto importante: convinto fino a poco fa che il futuro green dell’auto fosse nel metano, Marchionne lascia una Fiat con un ventennale ritardo sull’elettrico rispetto ai grandi produttori globali (Nissan, Toyota, Bmw, solo per dirne alcuni), proprio nel momento in cui in tutta Europa (Italia esclusa) è stata ufficialmente dichiarata guerra ai diesel per il loro elevato livello di emissioni inquinanti. Altro colossale errore di Marchionne è l’alleanza mancata con un  grande gruppo automobilistico come avvenuto invece tra Audi e Volkswagen, Renault e Peugeot, ecc. Ci aveva provato, a dire il vero, con Opel ma la Merkel non si era lasciata convincere dalle “garanzie” offerte. Poi, l’anno scorso, con la cinese Great Wall ma anche qui niente. Ne consegue che Fca rimane un gruppo minore nel mondo: settimo con circa 4,5 milioni di auto vendute di cui solo un settimo prodotte in Italia e con l’esiguo 5% di mercato. E i piani industriali? Disattesi, praticamente tutti. Solo promesse. A partire dalla recente boutade di 45 miliardi di euro in 4 anni di investimenti sull’elettrico per tentare di recuperare il terreno finora perso. E poi le vendite Alfa Romeo al palo, nonostante il lancio di numerosi e costosi modelli, il marchio Lancia ormai quasi inesistente e la Fiat “500centrica” a meno della Panda che si vende bene solo in Italia. Il timore, a partire dall’anno prossimo, è quello dello “spezzatino” cioè della vendita a scaglioni dei vari marchi storici, ipotesi che di sicuro non dispiace agli Agnelli-Elkann, sempre più attratti dal management finanziario che dalla produzione. Ma la sfida che a breve Fca dovrà superare più di tutte, è quella della guerra dei dazi e del ritorno a forme di protezionismo economico che, unite all’incertezza del nostro sistema-paese, l’unico in Europa a non crescere con ritmi decenti, potrebbe segnare il futuro delle residue macerie industriali lasciate nella penisola. Sic transit gloria mundi. Di Marchionne, temiamo, resterà solo il ricordo (sbiadito) dei suoi sobri e monocromatici maglioncini. E qualche manciata di (vuote) parole.