Un Lazarillo de Tormes tra le maglie della macchina burocratica fascista / “Vedrò Singapore?” – Piero Chiara

Un ingrato destino ha voluto che di Piero Chiara, oggi, se ne senta parlare solo (di riflesso, magari) tra gli addetti ai lavori e gli specialisti del secondo Novecento italiano, relegando il grande scrittore luinese nel ristretto novero dei cosiddetti “scrittori per scrittori”. Non sta a noi indagare le ragioni di tale oblio, di cui siamo stati noi stessi vittime prima che un fortunoso rinvenimento in un polveroso scaffale bibliotecario ci disvelasse l’esistenza di un autore a suo tempo vero e proprio fenomeno di massa anche grazie a celebri trasposizioni cinematografiche tratte dalle sue opere, ma è nostro compito, certamente, tentare, in questa infinitesima sede, di apportare un minuscolo contributo al ripescaggio di un grande indagatore della provincia italiana nei due fittissimi decenni costituiti dagli anni Sessanta e Settanta. Ma andiamo con ordine e, misconosciuti ai più, cominciamo con l’offrire dei brevi cenni biografici su Chiara, nativo di Luino (area Lago Maggiore, provincia di Varese) nell’anno 1913, da padre siciliano di professione doganiere e da madre piemontese piccola esercente di ceste ed ombrelli. Irrequieto e indisciplinato, Piero Chiara compie con alterne fasi i propri doveri di studente riservandosi un approfondimento da autodidatta per quanto riguarda la letteratura e viaggiando molto, tra Francia e Italia, tra svariati e saltuari lavori e intense frequentazioni fino, accontentando le richieste dei genitori, ad impiegarsi, sul finire del ’32, come aiutante di cancelleria nella pretura di Pontebba, al confine tra Alpi Carniche e Giulie, nella Val Canale, tra l’allora Regno d’Italia, l’Austria e il Regno di Jugoslavia, per poi finire trasferito ad Aidussina (oggi,Ajdovscina, di poco, Slovenia) e poi Cividale del Friuli. Colto in flagrante in approccio amoroso con un’amante sul luogo di lavoro, dopo diversi mesi di aspettativa, si ritrova trasferito nella sua Varese dove inizia a collaborare con riviste letterarie e contrae un fulmineo matrimonio. Nel ’44 deve riparare in Svizzera a seguito di un ordine di cattura del Tribunale Supremo fascista per un gesto politico di irriverenza. Poi, dopo la guerra, il ritorno e l’inizio di un’intensa attività letteraria il cui apice sarà raggiunto con “La stanza del vescovo” (1976) da cui Dino Risi trarrà anche un celebre film con Ugo Tognazzi nel ruolo di un patetico e malinconico piccolo borghese, replicato qualche anno dopo l’altro noto adattamento da Chiara, dal romanzo “La spartizione” (1964) di Alberto Lattuada con “Venga a prendere il caffè da noi” (1970). Piero Chiara muore nella sua Varese il 31 dicembre 1986 ricordato con l’istituzione, dopo pochi anni, di un prestigioso premio letterario a lui dedicato. //  Il romanzo di cui parliamo oggi è Vedrò Singapore?” (1981), opera matura intrisa di un evidente autobiografismo nel ripercorrere le vicende di un modesto impiegato dell’amministrazione giudiziaria italiana degli anni Trenta inviato al confine italo-jugoslavo tra aporie, inefficienze, crisi esistenziali, disinganni, atmosfere plumbee e repressive (incarnate dal fantomatico e ubiquo Alto Commissario Speciale per la Giustizia tal Gennaro Mordace), calcoli di infimo cabotaggio della profonda provincia impiegatizia (e non) di quell’epoca. Un po’ inetto sveviano (senza però le nevrosi e gli psicologismi del noto triestino) un po’ vitellone attratto dal buon bere, dal gioco delle carte e dalle conquiste femminili, il protagonista, per il tramite dell’arguta, ironica e malinconica penna di Chiara, compie la sua iniziazione alla vita, alla politica (sposerà, grazie a temporanei ma intensi incontri, un blando antifascismo), alla sessualità, ai travagli dell’etica (col tentativo di “salvare” la cassiera del Caffè Longobardo di Cividale, Ilde, dalla promettente carriera di meretricio) in una picaresca sarabanda di colpi di scena al termine dei quali otterrà finalmente soddisfazione dalle angherie subite dal terribile Mordace ma dovrà rinunciare al proprio stipendio sicuro in attesa di imbarcarsi sul mercantile “Adelaide Tarabocchi”, pronto a toccare i più che esotici porti di Porto Said, Suez, Bombay, Colombo e… la Singapore del titolo. Prima, chissà, della possibilità, per lui, di tornare “alle onde del Lago Maggiore” in un afflato nostalgico degno del miglior Renzo Tramaglino. //  La scrittura di Piero Chiara, dotata di pazienza metodica e di lieve grazia d’altri tempi, restituisce nei suoi vividi colori il grigio quadro della provincia fascista e della sua umanità in attesa dell’atto finale della recita del regime, deprecando sommessamente la rinuncia alla vita e le pulsioni statiche degli sfiduciati a vita, col punto di vista di un moderno Lazarillo de Tormes (non citiamo a caso visto che Chiara era un grande estimatore dell’opera) dall’insaziabile sete di vita e avventure e immune alle costrizioni morali, sociali e politiche. In questo periodo di chiusure forzate causa covid, futuro incerto nella cornice di un presente atono e claustrofobico, obbligata rinuncia a mobilità e socializzazione, un romanzo capace di farci scorrazzare in lungo e in largo nei tempestosi mari del Sud, tra loschi pirati in giacca e cravatta, ambigue e ciniche vivandiere, affidabilissimi antieroi, il tutto stando comodamente seduti in poltrona.

Vedrò Singapore? – Piero Chiara – Mondadori 2013 – XLIII, 193 pag. – 10,00 €