Indovina chi / E se la letteratura non fosse altro che un grande gioco?

Oggi proponiamo un gioco: noi forniamo delle descrizioni di protagonisti di grandi romanzi della letteratura, voi, amici lettori, provate a indovinare di chi stiamo parlando e, ovviamente, l’opera da cui è tratta. Pensateci sopra (alcuni sono molto facili, altri un po’ meno) e tra una settimana forniremo le risposte. Se volete, potete fornire le vostre soluzioni nei commenti al post oppure direttamente nella nostra pagina Facebook. Buon divertimento!

 

1. “Quanti anni sono passati da quel remoto pomeriggio di giugno? Più di trenta. Eppure, se chiudo gli occhi, (***) sta ancora là, affacciata al muro di cinta del suo giardino, che mi guarda e mi parla. Nel 1929 (***) era poco più che una bambina, una tredicenne magra e bionda con grandi occhi chiari, magnetici; io un ragazzetto in calzoni corti, molto borghese e molto vanitoso, che un piccolo inconveniente scolastico bastava a gettare nella disperazione più infantile. Entrambi ci fissavamo. Al di sopra della sua testa il cielo era azzurro e compatto, un caldo cielo già estivo senza la minima nube. Niente avrebbe potuto mutarlo, sembrava, e niente infatti l’ha mutato, almeno nella memoria”.

2. “(***) si presentò al generale Krachòtkin come prizivàlscik [parassita di nobile origine ma decaduto] per avere un pane: né più né meno. Di dove fosse sbucato, è avvolto nelle tenebre del mistero. Io, del resto, ho fatto appositamente un’inchiesta e qualcosa ho saputo sui precedenti di questo notevole uomo. Dicevano anzitutto ch’egli, non so quando né dove, fosse stato funzionario, che avesse non so dove sofferto e, ben s’intende, <<per la verità>>. Dicevano ancora che si fosse un tempo occupato a Mosca di letteratura. Non è a stupire: la crassa ignoranza di (***) non poteva certo esser d’inciampo alla sua carriera letteraria. Ma notizia autentica è questa sola, che nulla gli era riuscito e che, infine, era stato costretto ad entrare dal generale in qualità di lettore e di martire”.

3. “Appetitosa, com’era solito definirla Vadinho nei suoi rari momenti di tenerezza: rari ma indimenticabili. Era forse a causa dell’attività culinaria della moglie, che in quei momenti d’idillio Vadinho la chiamava il suo <<manuè>>, il suo <<acarajè profumato>>, la sua <<pollastrella grassa>>, e tali similitudini gastronomiche davano un’idea esatta del fascino sensuale e casalingo di (***), occulto sotto un aspetto docile e tranquillo. Vadinho conosceva e portava alla luce le debolezze di lei, quell’impazienza controllata di timida, quel desiderio represso che si trasformava in violenza, e perfino incontinenza, liberandosi nell’amplesso. Quando Vadinho era in vena, non esisteva uomo più incantevole di lui, né una donna capace di resistergli. (***) non riusciva mai a sottrarsi a quel fascino, neppure quando tentava risolutamente, piena d’indignazione e di rabbia recente. Eppure più volte era arrivata ad odiarlo, a maledire il giorno in cui s’era legata a quello sciagurato”.

4. “Il signor (***) invece forma un singolare contrasto con la sua dimora e il suo modo di vivere. Egli è scuro di pelle come uno zingaro; ma l’aspetto e le maniere sono da gentiluomo, almeno quanto quelli di più d’un signorotto provinciale; un po’ trascurato, forse, ma di una trascuratezza che non gli sta male, perché la sua figura è diritta e gradevole; e un po’ rude. Può darsi che qualcuno lo sospetti di sfrenata superbia: io invece giurerei che non è così; sento, istintivamente, che il suo riserbo proviene da un’avversione spiccata alle manifestazioni esteriori di sentimenti e di benevolenza. Quest’uomo deve amare e odiare di nascosto”.

5. “Sui trent’anni, ormai, figlio unico, rimasto ancor giovanissimo, a causa della morte del padre, il buon conte Aleardi, padrone di un’estesa sostanza, oculatamente amministrata dalla contessa madre, associava la passione della vela, e una indistinta idealità, che venivagli dal padre, a una meno indistinta per quanto involontaria attenzione ai precisi e macchinosi interessi materni, che prevedevano per il giovane, nei prossimi anni, una sempre più serrata e progressiva moltiplicazione di quei beni (ch’erano in case e terreni); e partiva perciò ogni primavera in cerca di terre, dove lui, ch’era architetto, avrebbe poi costruito ville e circoli nautici per la buona società estiva di Milano”.

6. “La signora (***) disse che i fiori li avrebbe comperati lei. Quanto a Lucy aveva già il suo daffare. Si dovevano togliere le porte dai cardini; gli uomini di Rumpelmayer sarebbero arrivati tra poco. E poi, pensò (***), che mattina – fresca come se fosse stata appena creata per dei bambini su una spiaggia. Che gioia! Che terrore! Sempre aveva avuto questa impressione, quando con un leggero cigolio dei cardini, lo stesso che sentì proprio ora, a Bourton, spalancava le persiane e si tuffava nell’aria aperta. Com’era fresca, calma, più ferma di qui, naturalmente, l’aria la mattina presto, pareva il tocco di un’onda, il bacio di un’onda; fredda e pungente, e (per una diciottenne com’era lei allora) solenne, perché, in piedi di fronte la finestra aperta, lei aveva allora la sensazione che sarebbe successo qualcosa di tremendo, mentre continuava a fissare i fiori, e gli alberi che emergevano dalla nebbia che a cerchi si sollevava fra le cornacchie in volo”.

7. “Ma quell’ardire, che attribuii a presunzione, era quanto mai rivelatore della vera personalità di (***): era semplice, diretto, non aveva paura di niente e si rifiutava di perder tempo con le convenzioni. <<Mi piacesti subito>>, mi rivelò molto tempo dopo. <<Perché dunque non avrei dovuto riempirmi gli occhi di ciò che mi piaceva?>>. Ho appena detto che non aveva paura di niente. Era un aristocratico autentico, anche se di fatto combatteva l’aristocrazia; un superuomo, l’essere biondo descritto da Nietzsche, e pur tuttavia un ardente democratico”.

8. “Lèa ricordava (***) bambino, meraviglia dai lunghi boccoli. Da piccolo non si chiamava ancora (***) ma soltanto Fred. (***) crebbe, ora dimenticato, ora adorato, tra cameriere ossigenate e lunghi domestici sardonici. Benché la sua nascita avesse misteriosamente portato l’opulenza, nessuna Miss, nessuna Fräulein fu mai vista accanto a (***), preservato a suon di strida da <<quelle streghe>>. <<Charlotte Peloux, donna d’altri tempi!>> diceva amichevolmente il vecchio, esausto, moribondo e indistruttibile barone di Berthellemy. <<Charlotte Peloux, io saluto in voi l’unica donna di facili costumi che abbia avuto il coraggio di allevare suo figlio da figlio di baldracca! Donna d’altri tempi, voi non leggete, non viaggiate mai, v’interessate solo dei fatti altrui e fate allevare vostro figlio dalla servitù. Che limpidezza! Fa tanto About! o meglio, Gustave Droz! e pensare che non lo sapete nemmeno!>>”.

9. Nominato ufficiale, (***), partì una mattina di settembre dalla città per raggiungere la Fortezza Bastiani, sua prima destinazione. Si fece svegliare ch’era ancora notte e vestì per la prima volta la divisa da tenente. Come ebbe finito, al lume di una lampada a petrolio, si guardò allo specchio, ma senza trovare la letizia che aveva sperato. Nella casa c’era un gran silenzio, si udivano solo piccoli rumori da una stanza vicina; sua mamma stava alzandosi per salutarlo. Era quello il giorno atteso da anni, il principio della sua vera vita”.

10. “<<Sicchè ci hanno ammazzato Ferdinando>>, disse la fantesca al signor (***), che avendo lasciato da qualche anno il servizio nell’esercito per essere stato dichiarato idiota dalla commissione medica militare, ora viveva vendendo degli orribili cani, ibridi mostri pei quali compilava delle fittizie genealogie. Come se questa occupazione non bastasse, era affetto da reumatismi, e proprio in quel momento si stava frizionando i ginocchi con l’unguento di opodeldok. <<Quale Ferdinando, signora Muller?>> domandò (***) senza cessare di massaggiarsi i ginocchi. <<Io conosco due Ferdinandi: il primo è commesso dal droghiere Prušy, e una volta si bevve per isbaglio una bottiglia di lozione per capelli; e poi conosco anche Ferdinando Kokoška, che raccoglie lo sterco di cane. Per tutti e due non sarebbe un gran male>>”.

 

Autore: ilprismadinewton

Blog indipendente di contaminazioni letterarie

3 pensieri riguardo “Indovina chi / E se la letteratura non fosse altro che un grande gioco?”

  1. 1. Il giardino dei finzi contini (Micòl)*
    2. Il villaggio di Stepàcinkovo (Fomà Fomìc)
    3. Dona flor e i suoi due mariti (Dona Flor)*
    4. Cime tempestose (Heathcliff)*
    5. L’iguana (Don Carlo)
    6. La signora Dalloway (Clarissa Dalloway)*
    7. Il tallone di ferro (Ernest Everhard)
    8. Chéri (Fred Peloux)
    9. Il deserto dei tartari (Giovanni Drogo)*
    10. Il buon soldato Sc’vèik (Sc’vèik)

    Piace a 1 persona

  2. Evvai, viva l’ignoranza, cominciavo a disperare che non ne riconoscevo nessuno e invece al punto 9 ho fatto goal con “Il deserto dei Tartari” di Dino Buzzati. Ce ne sono altri due che mi ricordano qualcosa ma sono dispersi nella nebbia, comunque sono curioso di sapere i risultati.

    Piace a 1 persona

  3. Allora io ho una percezione positiva su queste

    2. La n.2 è qualcosa di Dostoevskij
    3. Questa è quasi sicuramente Dona Flor e i suoi due mariti di Jorge Amado
    6. Mrs Dalloway della Woolf
    9. Il deserto dei tartari di Dino Buzzati

    Il resto non lo identifico, mannaggia!

    Piace a 1 persona

Lascia un commento