L’infiltrata speciale Amelie-san: nome in codice Tsutomeru / “Stupore e tremori” – A. Nothomb

“Nell’antico protocollo imperiale nipponico si afferma che ci si rivolgerà all’Imperatore con stupore e tremore” (pag.96). Questo mix di sudditanza e meraviglia è la base su cui è costruita la rigida struttura gerarchica della multinazionale giapponese dell’import-export Yumimoto. Qui la neo-assunta “Amelie-san”, che riesce a coronare il sogno di tornare nel suo paese d’origine dopo la parentesi europea, sperimenterà sulla propria pelle la difficoltà di integrazione nel verticismo aziendale del paese del Sol Levante, passando attraverso una lunga catena di soprusi, vessazioni, demansionamenti da parte dei propri superiori, fino a veder tramontare il sogno di lavorare come traduttrice all’interno della tazza di un WC e a vedersi eletta “Signora Pipì”.

Frutto dell’esperienza della Nothomb (fortunatamente per lei, breve, di solo un anno) nell’azienda commerciale Yumimoto, poco prima di potersi dedicare a tempo pieno alla scrittura e ottenere i primi successi, “Stupore e tremori” è il resoconto, dapprima tragico poi sempre più disincantato e irridente di una discesa agli Inferi lavorativa dai toni a tratti surreali di una “occidentale” (lei nata a Kobe, ma vissuta in Belgio, in Cina e in Bangladesh) incapace ad uniformarsi alla cultura lavorista giapponese che chiede lo schiacciamento di ogni individualità in favore di un formalismo piramidale finalizzato al Culto dell’Azienda, alla causa comune, cioè, a cui tutti i lavoratori di ogni grado sono chiamati a sacrificarsi pena la perdita di onore e rispettabilità nella società. Di questa integerrima devozione di fronte agli interessi dell’azienda, si rivela un perfetto esempio la sua superiore diretta, la signorina Fubuki Mori, che pone al centro della propria vita l’ideale di avanzamento di carriera a cui ha sacrificato, lei bellissima e giovane, un possibile matrimonio, una vita privata e sociale. “Macchina perfetta” di esecuzione degli ordini al servizio della ditta, la Mori mostra però un inceppamento fatale con conseguenze (spiacevoli) puntualmente scaricate sul sottoposto di turno: la nostra Amelie che, per contrappasso, lei che ha colto segni di debolezza sotto forma di lacrime della Mori nel privato del bagno, si ritroverà (dopo il declassamento da traduttrice a cerimoniera del tè, da addetta alle fotocopie dalla perfetta centratura del bordo a ragioniera) infine a dover pulire i cessi del 44° piano. Vittima di uno spietato mobbing, Amelie-san rifiuta però sia di cadere nel vittimismo sia di gettare la spugna licenziandosi anzitempo ma scegliendo una terza via: resistere come farebbe una giapponese, senza perdere la faccia, incassare il colpo e fare di necessità virtù. Con una non comune prova di stoicismo e una altrettanto ampia dose di beffarda ironia, rimane per sette mesi come addetta alle pulizie dei bagni, finendo col trovare tale lavoro, pur degradante rispetto alle sue ambiziose aspirazioni iniziali subito tarpate da una serie di “errori” e sviste nel protocollo nipponico, non tanto peggiore di quello dell’impiegato comune chino tutto il giorno su una scrivania a far di conto e immerso tra scartoffie che richiedono turni extra anche di notte (non pagati).

All’interno di questa impietosa analisi del mondo lavorativo giapponese, la Nothomb trova (ed è parte fondamentale nel libro) spazio per parlare della condizione femminile nel paese asiatico. Le donne, ci spiega l’autrice, sono infatti costrette fin dalla tenera età, tramite una rigidissima e antichissima educazione, a mettere da parte ogni loro aspirazione ed ideale in favore di un’etica lavorativa e di un buon matrimonio da contrarre; ciò comporta una serie interminabile di sterili doveri tra cui il più macroscopico è l’irreprensibilità (qualità riscontrata nella Mori) ma non solo: il dovere di essere sempre piacente e in forma, quello di mangiare con estrema moderazione, quello di comportarsi in un certo modo in pubblico, quello di sposarsi entro i 25 anni d’età (ironicamente Amelie sottolinea come la Mori, in un eccesso di irreprensibilità finalizzato alla carriera, abbia mancato già da diversi anni tale traguardo), quello di avere bambini da avviare al servizio militare, quello in generale di sacrificarsi per gli altri, per quello cioè che gli uomini pretendono da una donna, con la conseguenza più che certa di cucirsi addosso un destino di infelicità. Di fronte a tale prospettiva, per la donna giapponese, dice la N., si aprono due strade: o la rinuncia con relativa sottomissione o l’atto estremo di ribellione, per la loro cultura onorevole, cioè il suicidio. L’autrice mostra di ammirare “ogni donna giapponese che non si sia suicidata. D’altra parte, restare in vita è un coraggioso atto di resistenza al tempo stesso disinteressato e sublime” (pag. 59). Così che la protagonista, più volte di fronte alla tentazione di aprire la finestra e volare di sotto, decide di stringere i denti e restare fino alla fine, consapevole delle folli assurdità di un mondo che promette libertà ma in realtà vincola a sé, stritola ogni aspirazione femminile. Un mondo che, stando al recente rapporto Oxfam 2017, è comune a tutti i paesi della Terra, visto che a parità di qualifica, ad esempio, permangono differenze di retribuzione uomo-donna mediamente del 30% (anche in quei paesi che definiamo “avanzati”) a sfavore della parte femminile e che la quota di donne manager è di gran lunga inferiore a quella di uomini dirigenti. Un Giappone del 1990, allora, molto simile a tutta l’odierna società occidentale, il cui cammino di vera emancipazione tra i sessi sembra essere ancora particolarmente lungo e impegnativo…

 

“Fubuki era irreprensibile. Il suo solo difetto era che a 29 anni non aveva ancora un marito. Un sicuro motivo di vergogna per lei. Certo, a rifletterci, se una giovane donna così bella non aveva trovato marito il motivo poteva essere stato solo la sua irreprensibilità. Perché aveva applicato con zelo assoluto la regola suprema che fungeva da nome al figlio del sig. Saito [“Tsutomeru”=lavorare]. Da 7 anni aveva sepolto tutta la sua vita nel lavoro. (..) Non le si poteva tuttavia rimproverare di aver lavorato troppo perché, agli occhi di un giapponese, non si lavora mai abbastanza. C’era dunque un’incongruenza nelle regole previste per le donne: essere irreprensibile lavorando con accanimento portava a superare i 25 anni d’età senza sposarsi e, di conseguenza, a non essere irreprensibile” (pag.60)

“L’onore consiste il più delle volte nell’essere idioti. Non è meglio comportarsi da imbecilli che disonorarsi?” (pag.69)

 

Stupore e tremori – Amelie Nothomb – Voland coll. Amazzoni 2017, 112 pag. – 13,00 €

Autore: ilprismadinewton

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